Autunno (parte 2)

Lo scintillio della piccola fascia d’oro bianco allacciata al suo anulare impediva a Flavia di guardare altrove.

Sapeva che era sposato. Spesso le era capitato di intravedere sua moglie baciarlo sulle labbra nel frenetico saluto mattutino appena dentro l’uscio della stazione, ma quella fede scintillante la paralizzava, trasformando le sue fantasie in un qualcosa di assurdamente reale. Si chiese se Sergio fosse felice con quella donna, se lei gli desse l’amore che si erano promessi davanti al prete o se fosse un rapporto come i tanti disillusi, annullato dalle intemperie del tempo … E si rispose che non sarebbe stata in nessun caso  una valida scusa per diventare l’intrusa fra due persone che si erano amate e scelte nel mondo.

In quel momento vide la mano di lui abbozzare un movimento e notò che le stava parlando, guardandola nervosamente negli occhi castani.  

 “Scusa?” disse lei, imbarazzata all’idea di esser stata vista nel fissare pentita la fede troneggiante al suo dito .

“Com’è il tuo cornetto?!”. Ripeté lui, con un timido sorriso tirato in volto e Flavia si accorse dell’esistenza di una lieve sfumatura di disagio nella voce di Sergio. La sicurezza e la fermezza di poco fa, quando seduti alla panchina della stazione avevano fumato assieme la loro prima sigaretta e per la prima volta avevano cercato le mani l’uno dell’altra nella voglia di assaporare il calore di un corpo per troppo desiderato, parevano ora incrinate nel tono di voce meno caldo e più distante, come un vetro troppo sottile adagiato su punte diamantine.

Non rispose. Accese l’ennesima sigaretta della mattinata, che andava scaldandosi, e annuì distrattamente, lasciando che la sua attenzione venisse rapita dal motivo geometrico della tovaglietta sdraiata sotto il piattino da caffè. Desiderava non provare quella bruciante vergogna davanti all’immagine di lei che distruggeva una famiglia seducendo quell’uomo dagli occhi grigi. Sarebbe diventata “l’altra”.

«Mi raccomando Flavia, stai con chi vuoi … Ma lascia in pace gli uomini sposati!». Questo glielo ripeteva sempre sua madre. Aveva cominciato a dirglielo non appena entrata nell’età dei primi fidanzatini e non aveva ancora smesso di ricordarglielo.

“Già …” Sussurrò espirando una boccata di fumo denso che andò a diramarsi sopra le loro teste, poi alzò lo sguardo e si concentrò su ogni dettaglio del viso di Sergio. Le sopracciglia perfettamente non curate, di un paio di tonalità più chiare dei capelli scuri, in cui già si intravedevano le sfumature brizzolate del tempo in cammino. Quell’unica ruga marcata in mezzo alla fronte che conferiva autorevolezza al suo sguardo, determinato ma stranamente cordiale per un uomo dall’aria grezza come lui. Per osservare poi le sue labbra sottili dal colore troppo tenue per una carnagione abituata all’abbronzatura del duro lavoro all’aperto.

Fu su quel dettaglio che Flavia si fermò, fissando e ammirando quella bocca che desiderava accarezzare dai suoi lontani sedici anni. E ora lui era lì, seduto a un tavolo qualunque di un baretto mai notato, e le sorrideva e i suoi piedi la sfioravano ad ogni movimento su quelle sedie troppo vicine e le sue mani le passavano l’accendino e il suo profumo le arrivava dentro fino in fondo ai polmoni … Ed era tutto ciò che sognava ormai da dieci anni!!

La ragione l’avrebbe fermata, ma il cuore pulsava troppo perché Flavia potesse sentire altro che non il suo canto. Lentamente alzò lo sguardo e impiantò i suoi occhi in quelli di Sergio. Un sorriso dolce le uscì dalle labbra.

 “E’ buonissimo! Ti va di assaggiarlo?”

Subito si allungò sul tavolo, ritrovandosi a pochi centimetri da lui, che ormai stava cedendo a quel desiderio con la stessa rassegnazione della ragazza che ora, puntellata con i gomiti sul freddo metallo, gli appoggiava sulla pelle leggermente umida delle labbra l’impasto ancora tiepido della brioche.  

Un morso e un unico sorriso passò da lei a lui.

L’imbarazzo e i sensi di colpa vennero cacciati da quel bar come nuvoloni in tempesta da un vento frizzante. Seguirono molte sigarette, poche chiacchiere, troppi sguardi e calde risate. Nessuno dei due, ora, avrebbe avuto la paura di provare l’amore che avevano aspettato, rubando un giorno al tempo del Mondo.

Quando si alzarono dal tavolo venne spontaneo intrecciare le dita. Caldi rampicanti a suggellare un incontro. Si avviarono nella strada desolata delle mattinate autunnali, fermandosi di tanto in tanto davanti alle vetrine illuminate ancora confusi e incapaci di comprendere quell’assurdo strappo nella linea della vita, e senza rendersene conto arrivarono davanti al portone dipinto di blu della casa di Flavia, salendo i quattro piccoli gradini di pietra che portavano alla maniglia.

“Sergio … “ sussurrò lei. Il cuore come un motore surriscaldato, le mani tremanti e gelate.

“Flavia … “. Le accarezzò i capelli e avvicinò il volto a quello di lei. Le labbra finalmente si sfiorarono e la parvenza di un bacio fra loro si stampò nell’istante del tempo.

Gli occhi di Sergio si fecero arrossati e dalle guance di lei scesero piccole gocce lucenti nel sole, poi lui si voltò, abbracciandola con lo sguardo un’ultima volta. Scomparve alla sua vista in pochi minuti. Della sua bocca solo il respiro aveva assaggiato, di quell’uomo che ora poteva dire di aver amato davvero.

Con le lacrime incessanti che le bagnavano la giacca leggera, girò le spalle a quel giorno rubato al Mondo ed entrò in casa. Sola.


La voce metallica degli annunci attirò la sua attenzione e un lieve bruciore all’indice della mano destra la fece lievemente sobbalzare. Flavia si portò il dito alle labbra e notò una bruciatura superficiale della sigaretta, che ora giaceva a terra interamente fatta di cenere. Aveva dimenticato di averla accesa e ora il contatto col fuoco le intorpidiva la pelle. Confusa alzò lo sguardo verso l’enorme orologio della stazione.

Era una mattina uggiosa di autunno, sulla lingua danzava ancora forte l’aroma del caffè bollente alla nocciola e le lancette segnavano le sette e dieci. Guardò la panchina di Sergio, vide che era vuota. Già se n’era andato. Il freddo sul volto la riportò alla realtà, in cui quello strappo non era mai esistito. Il sogno sognato da sveglia di una ragazza come tante altre, seduta su una fredda panchina in attesa del treno.

Immediatamente ripensò a quel bacio non dato, a quel cornetto tiepido, alle loro dita incastrate. Poi la voce richiamò la fermata. Era il suo treno. Sette e dieci in punto. E ogni mattina alle sei e cinquanta arrivava lui, in perfetto orario.

Lui. Con i suoi bellissimi occhi grigi e i capelli brizzolati.

Flavia lo guardava da così tanto tempo … Era da così tanto che ne era innamorata … E lo avrebbe guardato e amato per sempre!

 

Mary

 

Sergio Pitol Demeneghi

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Di origine italiana, Pitol nasce a Potrero (Veracruz) il 18 Marzo del 1933.

Divenuto orfano all’età di quattro anni, visse a stretto contatto con sua nonna che, oltre ad essersi presa a carico la sua educazione, divenne per lui un modello nella scoperta della letteratura, dal momento che era solita leggere molti romanzi, soprattutto Tolstoj, suo autore preferito.

Obbligato in casa per aver contratto la malaria, Pitol si dedicò ad alcuni grandi scrittori come Verne, Stevenson e Dickens, arrivando all’età di diciassette anni con una vasta cultura letteraria.

A sedici anni  frequentò l’Università di Città del Messico dove conseguì la laurea in diritto diventando successivamente titolare dello stesso corso di studi nell’Università di Veracruz e in quella di Bristol.

All’età di vent’anni, nel 1953, iniziò a viaggiare assiduamente: Cuba, Venezuela, New York dal 1953 al 1957 mentre, nel 1960 divenne membro del Servicio Exterior per il quale lavorò come associato culturale a Londra, Parigi, Varsavia, Budapest, Praga e Mosca (città nella quale rafforzò il suo affetto per la letteratura russa in generale, in particolar modo per Anton Cechov).

Nel 1966 si installò a Xalapa, in cui vive tutt’oggi, per ripartire nuovamente nel 1968 come associato culturale verso Belgrado, rinunciando al compito al termine dello stesso anno a causa del massacro di Tlatelolco in Messico, avvenuto pochi giorni prima dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici 1968. 

Tra il 1969 e il 1972 Pitol visse a Barcellona lavorando come traduttore per diverse case editrici, oltre ad essersi stazionato a Roma e a Pechino per impegni sia di lavoro che di studi.

Influenti per la realizzazione dei suoi primi racconti (“Tiempo cercado” e “Infierno de todos”) furono i discorsi, sentiti durante l’infanzia, di adulti nostalgici del mondo precedente la Rivoluzione, racconti che vennero pubblicati dalla rivista Estaciones nel 1958 durante la collaborazione con lo stesso Pitol.

Tra il 1969 e il 1972, durante il suo soggiorno a Barcellona, lavorò con la casa editrice Anagrama che pubblicò le sue prime opere in Spagna e terminò il suo primo romanzo intitolato “El taÑido de una flauta” (1971).

Osservando il suo lavoro si possono riconoscere due tappe principali nello stile narrativo:

  • Prima fase. Iniziata con i suoi primi racconti, marcata da tinte nostalgiche e leggermente negative, colma di personaggi distrutti dalla fine della Guerra Civile e  incapaci di adattarsi alla realtà contemporanea e di bambini nati dopo il disastro rimasti orfani nonché malati e impauriti.
  • Seconda fase. Conosciuta come la fase dei viaggi, in cui il luogo funge quasi esclusivamente da struttura scenica, dove a risaltare è la psicologia dei personaggi e, di conseguenza, della natura umana.

Oltre che per i suoi romanzi, Sergio Pitol è conosciuto grazie alle traduzioni in lingua spagnola di noti autori italiani, inglesi, americani e russi oltre che per la propria carriera da diplomatico, che si concluse con la nomina di Ambasciatore del Messico a Praga (1983 – 1988).

Nel 1999 gli venne consegnato il IX Premio Juan Rulfo per la Letteratura Latino – Americana e dei Caraibi. Onorificenza oltre la quale, Pitol può vantare ben diciassette fra premi e riconoscimenti alla carriera. L’ultimo nel 2005, Premio Miguel de Cervantes.

 

Di suo ho letto: La Sfilata dell’Amore

 

!Bacio!

Stella_Marina

Da autostoppista …

Bentornati Sperduti.

Finalmente sono riuscita ad acquistare un libro che da anni stazionava nella mia “lista dei desideri” ma che, puntualmente, dimenticavo di ricercare tra gli scaffali delle diverse librerie, fino a ieri pomeriggio in cui il caso ha voluto che lo trovassi proprio in bella vista …

Ed ora, eccolo qui!!

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L’ho pagato 14, 92 € scontato ed è composto da 844 pagine di puro umorismo britannico!

Per ora ho dato un’occhiata alle note dell’autore, dalle quali si percepisce immediatamente l’animo frizzante dell’opera. Non so, ma lo trovo un libro da leggere a letto, accoccolata nella mia tuta di pile e con un’enorme tazza di cappuccino appoggiata sul comodino! Sarà per il brutto tempo che avanza? … O forse, devo solo ammettere a me stessa la mia già nota pigrizia del cambio stagione.

Vi farò sapere impressioni e critiche anche se posso anticiparvi che, da autostoppista seriale, non potrò non affezionarmi ai due protagonisti: Arthur Dent e Ford Prefect!!

Mary

#Recensione: Flawed – Gli Imperfetti

Bentornati Sperduti.

E’ il caso di dirlo: questo libro l’ho divorato! Iniziato e finito nell’arco di tre giornate; troppo curiosa per non sfruttare ogni secondo libero per tuffarmi fra le sue pagine. Ve ne avevo fatto cenno nella recensione de Il Re Orco. Ed ora:

Vi presento Cecelia Ahern con il suo: Flawed – Gli Imperfetti.

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Scheda

  • Titolo originale: Flawed
  • Autore: Cecelia Ahern
  • Casa Editrice: De Agostini Editore
  • Anno di pubblicazione: 2016
  • Genere: Young Adult
  • Pagine: 386
  • Prezzo di copertina: € 14, 90

Recensione

Celestine è una semplice ragazza di diciassette anni che vive nella piccola comunità di Humming in cui vigila un’istituzione governativa chiamata Gilda, basata sul rispetto della moralità e sulla ricerca di una popolazione eticamente impeccabile. Al vertice di tale organizzazione siede il giudice Crevan, un uomo dall’aria distinta e autorevole, con il quale la protagonista – dal privilegiato tenore di vita e impegnata sentimentalmente con il figlio di quest’ultimo, Art – condivide pienamente la filosofia politica, oltre ad essere una delle più grandi sostenitrici dell’operato della Gilda.

Le giuste amicizie, i voti eccellenti in ogni materia, il rapporto idilliaco sia nell’ambito famigliare che in quello amoroso, delineano un quadro netto in cui è racchiusa la totale perfezione della vita di Celestine … Fino a quando, una mattina qualunque di una giornata qualunque, tutto muta irrimediabilmente cancellando l’esemplare dipinto color pastello che è l’esistenza della ragazza e sostituendolo con un’enorme squarcio al centro della tela. Questo accade quando la protagonista nota l’indifferenza delle persone davanti alla sofferenza di un anziano signore e spinta da un’ideale di giustizia, decide di intervenire, contro ogni aspettativa.

L’uomo in questione porta al braccio una fascia con una F stampata che sta ad indicare la parola Fallato, ovvero un individuo giudicato moralmente imperfetto dal verdetto della Gilda. Una sentenza non circoscritta al semplice pezzo di stoffa, bensì aggravata da marchiature a fuoco corrispondenti, per numero e posizione sul corpo, ai crimini etici commessi dal malcapitato. Ogni interesse o aiuto offerto a questo genere di persone viene interpretato come una mancanza di rispetto nei confronti dell’istituzione e severamente punito. Così Celestine si trova per la prima volta al di là dello steccato: una perfetta signorina in mezzo ad imperfetti criminali.

Con gli occhi sgranati di terrore per la visione della realtà, osserverà incredula la malsana palude occultata dall’ossessiva ricerca della perfezione. Ne sentirà l’odore pungente graffiarle la pelle, ne toccherà l’untuosità direttamente con le proprie mani e ne scorgerà il marciume che, strisciando di cittadino in cittadino, sfama il suo insalubre appetito con ipocrisie e raccapriccianti inni di falsa giustizia. Visione con la quale Celestine dovrà fare i conti, che lo voglia o meno.

Considerazioni personali

Nonostante mi sia molto piaciuto questo romanzo, ammetto di averlo trovato poco curato in alcuni passaggi – lievemente incoerente – ripetitivo su alcuni dettagli. Oltre a questo, le vicende iniziano a prendere forma solo dopo aver raggiunto il ventesimo capitolo. Lo stesso per la protagonista che, per buona parte della storia, rimane abbastanza anonima senza suscitare alcun interesse nel lettore.

Lo ritengo comunque un valido romanzo young adult e mi sento di consigliarlo a coloro che apprezzano il genere perché, nonostante qualche pecca, reputo la trama principale curiosa e suggestiva

 

Voto: 7/10

Mary