Dentro le mura di casa

Ventesimo giorno di quarantena

Caro diario,

sto impazzendo. Ormai non lo dico più in senso lato, ormai credo sia davvero così.

Oggi mi sono sorpresa a guardare con aria minacciosa un passante sotto casa. Un rumore simile ad un ringhio vibrava nella mia gola.

Abbiamo finito la crema di nocciole, gli spaghetti fini che mi piacciono e le patatine; e mamma non andrà in bottega prima di tre giorni. Siamo rovinati!

Vige in casa una dittatura autoproclamatasi per la preservazione dei generi di prima necessità, come dentifricio e carta igienica. Sempre mamma. Dice che ho esaurito la mia dose consentita di shampoo. Fino a data da destinarsi mi laverò i capelli con la cenere della stufa. Su You Tube ho scovato un tutorial che mi darà una mano.

I cellulari della famiglia sono raccolti in un enorme piatto di legno in cucina. Siamo a corto di legna quindi, alla peggio, lo butteremo nella stufa; come settimana scorsa lo sgabello di zio Leone. I cellulari li teniamo lì dentro perché siano accessibili a tutti: li usiamo come utensili. Schiaccianoci, apribottiglie, martello. Li usiamo per tutto e funzionano bene. Queste cose in casa non le abbiamo, siamo sempre andati a prestito dai vicini. In cambio gli portavamo gigantesche teglie di lasagne. Da un po’ mi chiedo: noi ci siamo arrangiati con i cellulari, ma loro? Nessuno in quella famiglia sa cucinare.

Questa notte mi sono svegliata fradicia di sudore, per terra vicino al muro. La testa mi scoppiava. Poi mio fratello mi ha mostrato un video: ero io che correvo, correvo, correvo. Finché non ho incontrato la parete con la fronte. Probabilmente stavo sognando di fare jogging al parco. Nel filmato sembro quasi felice. Sorrido.

Ora devo andare, diario. Ho sentito il rumore di un pacchetto. Devo fermare papà prima che finisca anche i salatini.