“Hey …” lentamente spingo la porta di metallo appena accostata ed entro nella stanzetta in penombra. Me la ritrovo seduta a terra. La schiena appoggiata al lato del letto, le ginocchia al petto e stretto fra le braccia quel suo enorme cuscino rosa. “I tuoi mi han detto che eri qui.” le dico quasi sussurrando mentre mi ci siedo accanto. È in quel momento che mi accorgo dei suoi occhi, ben più che semplicemente velati dalle lacrime. Sto per chiederle cos’è successo, anche se già ne sono stata messa al corrente, ma lei fulminea mi precede. “Perché le persone arrivano sempre a deluderti? Miriam era la mia amica migliore … E invece ha messo in giro tutte quelle voci.” per la prima volta da quando sono entrata punta i suoi occhi nei miei, giusto il tempo di pormi una domanda carica di malinconia. “Perché zia?! Perché la gente prova gusto a ferire?” Non ho scudi contro quegli occhi liquidi, tremendamente sinceri. Le avvolgo il braccio destro sulle spalle e me la stringo un po’. È restia al contatto prolungato, lo so, infatti dopo pochi istanti si scosta ed io rimango ad osservare il morbido movimento dei suoi capelli scuri. Anagraficamente sono lontana ormai vent’anni da questi drammi adolescenziali ma emotivamente non sono poi tanto diversa dalla quattordicenne in lacrime che mi siede al fianco.
“Ti racconto un aneddoto. Qualche anno fa, dieci per la precisione!” faccio una smorfia a sottolineare il mio disappunto nei confronti del tempo in avanzata e perlomeno le strappo un sorriso. “Ho frequentato un’Accademia d’Arte. Era un progetto che tenevo nel cassetto da molto tempo e finalmente mi decisi a tirarlo fuori da lì …”
“E questo cosa centra zia?” mi volto divertita nella sua direzione. “Centra! Perché, oltre ad essere stata per me un’esperienza al di sopra delle più floride aspettative, è stata anche l’ultima volta in cui mi sono lasciata fregare da una persona che credevo amica!” Torna a fissare la punta dei suoi piedi, pronta ad ascoltare.
“Ero nuova della classe ma non mi risultò difficile acclimatarmi anzi, conobbi subito una ragazza con la quale pareva avessi molto in comune. Andavamo davvero tanto d’accordo e dopo poche settimane sembravamo praticamente inseparabili. Clarissa. Così si chiamava …” mi scappa involontario un sorriso, non pensavo a quel nome da un sacco di tempo. Non pensavo a lei da un sacco di tempo! Sospiro, consapevole della porta che si spalancherà dentro ai miei ricordi appena inizierò a raccontare.
“Senza perderci in reminiscenze arrivo al punto: il prof di storia dell’arte ed io eravamo invischiati in una sorta di bizzarro conflitto. Aveva appena dieci anni più di me. Io, all’epoca, frequentavo spesso uomini più grandi e questo mi rendeva difficile vederlo come un vero professore. Per me era semplicemente un coetaneo dei ragazzi con i quali giravo. Non ricordo il motivo dell’astio reciproco ma compenso con la memoria dei continui nostri battibecchi, delle prese in giro e delle frecciatine che ci lanciavamo nei corridoi. Era una lite alla Tom & Jerry, nulla di serio. Però stavo davvero iniziando a non sopportarlo più: le sue ore preferivo spenderle davanti alle macchinette oppure in cortile a fumare …”
“Fumavi, zia?” Eh già, a lei non l’ho mai detto! Penso distrattamente. “Si, sono stata una fumatrice per diversi anni …” “E perché hai smesso?” soppeso la domanda e la possibile risposta. “… Vorrei dirti perché sono cresciuta, ma …” un’altra smorfia sul mio viso, questa volta non si tratta di disappunto ma di scarsa convinzione. Mi rasserena vedere che ancora riesco a farla ridere.
“Riprendiamo!” sussurro facendole l’occhiolino, ammaliata dalla naturale brillantezza dei suoi occhi neri. “Come stavo dicendo prima che mi interrompessi … Le sue lezioni cercavo di evitarle e quando mi capitava di parteciparvi non riuscivo a trattenermi dal rapportarmi con menefreghismo e sufficienza. Stessa cosa faceva lui, ogni volta che azzeccavo una risposta ad una sua domanda. La cosa strana è che, nonostante mi perdessi davvero tante spiegazioni, la sua materia non è mai stata un problema: apprendevo tutto con facilità, arrivando spesso ad ottenere voti parecchio alti! Comunque sia, verso la metà dell’anno ero ormai satura e pronta a scoppiare. Per quanto mi riguardava, due erano le possibili motivazioni: o davvero gli stavo antipatica -ed ero determinata a scoprirne la causa- oppure, e qui scusami il francesismo, mi si voleva fare!” Scoppio a ridere al ricordo di quanto fossi scema! “E cosa hai fatto?” “La più semplice delle cose: l’ho invitato a bere un drink! Dopo la cena di Natale organizzata dalla classe ho aspettato fuori dal ristorante con la scusa di fumare una sigaretta. Tutti stavano salutandosi sulla soglia e fingendo di voler fare altrettanto, mi avvicinai. Quei tortellini mi hanno seccato un po’ la gola, le andrebbe di farmi compagnia per un bicchiere di qualcosa di fresco? Il suo sguardo passò rapidamente dalla diffidenza, alla confusione per finire nella riflessione. Poi sorrise e capii che era fatta. Certo! Non si lascia bere da sola una signora! – Signorina, prego! – Mi permetto di contraddirti Nadia, la forma più corretta è Signora! A quanto pare è considerata politicamente corretta! Mi lasciai sfuggire un sospiro. Non eravamo ancora rimasti completamente soli e già faticavo a tollerarlo. Ci fermammo in un posto carino e, tra l’imbarazzo iniziale, ordinammo da bere. Devo ammettere che riuscì a sorprendermi: fuori dall’Accademia risultava perfino simpatico. Le sue battute erano argute e la sua risata sincera. Aveva da condividere parecchi racconti interessanti e gli piaceva ascoltare … Non me lo sarei mai aspettato ma si dimostrò anche un vero gentiluomo quando, vedendomi infastidita dall’aria condizionata del locale, mi posò la sua giacca sulle spalle. Ora, che rimanga fra me e te, ma non ero davvero abituata a certe attenzioni.”
Lei mi guarda, rapita e sconcertata al tempo stesso. “Perché no?” “Beh, considerando certi individui che frequentavo … Ma credo sia il caso di approfondire la questione quando sarai un pochino più grande! Per il momento accontentati di questo racconto, di cui certo non vado particolarmente fiera!” Ridiamo. Mentre getta a terra l’enorme cuscino rosa ruotando verso di me, strisciandosi a terra con le gambe ancora incrociate, le osservo gli occhi. Ora sono quasi asciutti, anche se il pianto le ha arrossato la sclera. Appena smette di agitarsi nella ricerca di una posizione comoda, riprendo.
“Per farla breve … Quella sera andò bene, molto bene! Della serie che … Trascorsi nemmeno dieci giorni, uscimmo un’altra volta. E dopo di allora, uscimmo ancora e ancora e ancora. Certo, era imbarazzante vederlo in classe … Nessuno doveva sapere nulla, quindi eravamo obbligati a recitare le nostre parti. Io la studentessa un po’ svogliata e lui il professore un pochino troppo stronzo! La faccenda si fece seria quando una sera mi invitò a cena a casa sua. Si era messo ai fornelli per cucinarmi non ricordo quale tipo di risotto. Forse alle fragole … No, credo fosse allo spumante! Non lo so, ma era certamente delizioso tanto che ne divorai due porzioni mentre lui mi osservava, divertito dal mio poco femminile appetito. Ovviamente non fu il risotto a complicare tutto … Diciamo che la colpa fu più che altro del dessert. Particolarmente delizioso pure quello …”
Altra cosa a cui non pensavo da parecchio tempo. Strano com’è: entri in una camera per consolare tua nipote e ti ritrovi a scomodare un passato a cui non davi voce da troppo. Quando torno a guardarla vedo sulla punta della sua lingua un’ovvia domanda, così la precedo. “Non ci pensare nemmeno! Prima di svelarti quale fosse il dolce prelibato che mangiai quella sera, dovranno passare ancora un po’ di anni!” Confusa, vedo nei suoi occhi qualcosa che non mi piace e un brivido di imbarazzo mi risale la schiena. “Ci sei andata a letto?!” Esattamente quello che temevo!
“Hey! Ero single, ci trovavamo attraenti e poi era già qualche tempo che ci stavamo frequentando! Ma … Sto pure a giustificarmi con te, è ridicolo! Taci e ascolta la storia della tua quasi vecchia zia!! La mattina seguente risultò chiaro ad entrambi che non potevamo più fingere che le nostre uscite fossero puramente amichevoli, c’era di più! E ormai avevamo oltrepassato quel limite che avremmo dovuto mantenere intatto. Erano i primi di giugno quando mi chiese di incontrarlo al solito bar. Vedendolo da lontano già avevo capito: era lì per chiudere e, nonostante mi rattristasse, ero consapevole che fosse la decisione migliore. C’era troppo a rischio. La sua carriera, i miei esami … La nostra credibilità. Non mi sbagliai. Il tempo di accendere e finire un paio di sigarette e ci dividemmo. Era l’ultima settimana di corso quindi non mi preoccupai troppo di prendere parte alle sue ore. Alle altre lezioni partecipavo con entusiasmo invece, soprattutto a quella di pittura. La mia preferita! Io e Clarissa eravamo le più rumorose durante quei sessanta minuti ma anche le più dotate, quindi ci veniva perdonata qualche chiacchiera in più. Un giorno l’insegnate ci chiese di disegnare ciò che per noi rappresentava la libertà. Io dipinsi un leone maestoso e fiero. Ritto sulle quattro zampe nel mezzo di un poco profondo torrente, con la criniera sconvolta dal vento …”
“Quello in casa tua!” appoggio una mano sulla sua testa. “Smettila di spoilerarti i finali! Certo che voi ragazzini non spiccate per la pazienza, eh?!” sorrido.
“Era certamente il mio quadro migliore! Purtroppo il prof pensava altrettanto e decise di inglobarlo tra gli averi della scuola, per poterlo mostrare al pubblico alle occasioni buone! Ne ero orgogliosa ovvio, ma il dispiacere di rinunciarvi mordeva più dell’orgoglio. Non potendo farci nulla, accettai. Accadde proprio dopo una lezione di pittura che Clarissa mi si avvicinò. Da un po’ di giorni la vedevo strana, distaccata, nervosa. Pensavo avesse qualche problema per la testa. Invece sputò una frase che non mi sarei mai aspettata. Ti chiedo scusa Nadia. La guardai inebetita perché non trovavo il motivo delle sue scuse. Finse della compassione nello sguardo e nel leggero sospiro che buttò fuori dalle labbra. Forse non lo sai ancora. Esco con il professor Tozzi, Michele per me! Una fitta mi attraversò lo stomaco. Ah, davvero? Wow, che notizia. Ne sono felice. Era un po’ che gli sbavavi dietro! Simulai dell’allegria poco convincente. Per questo non ti vedevo più? Eri troppo impegnata con il tuo nuovo amore? Non devi chiedermi scusa per questo, Clari! … Ti ho chiesto scusa perché lui ha preferito me a te! In quel momento non solo lo stomaco mi bruciò terribilmente, ma il cuore si contrasse. Che frase meschina da dire ad un’amica e poi … Come faceva a sapere di me e Michele?! Cosa stai dicendo? … Nadia, credevi davvero che non mi fossi accorta di nulla? Non sono mica così scema. Sono mesi che lo so! Ne ho avuto la conferma quando ho guardato nel tuo telefono … Ero fuori di me. Come ti sei permessa? … Smettila Nadia! Non frega a nessuno dei tuoi piagnistei! Sai invece cos’è importante? Che lo volevo io e me lo sono preso! Quella frase fece ancora più male. Fece davvero tanto male! Rischiava la carriera frequentando te. Io gliel’ho solamente fatto notare, calcando un po’ la mano forse … Ma l’importante è che abbia preso la decisione giusta! Inizialmente non ne era molto convinto di darti quell’appuntamento al bar ma, sai com’è, agli uomini basta dare la giusta dose di incentivi! Certo, anch’io sono una sua allieva ma non me ne vado in giro con gli occhi a cuoricino come facevi tu. Sono una persona più discreta. Un po’ me ne vergogno ma devo ammettere che faticai a trattenere le lacrime. Mi sentivo talmente tradita da non riuscire quasi a parlare. Riuscii a sussurrare solamente una frase, piena di rabbia e di delusione. No Clarissa, tu sei una persona schifosa! Me ne andai. Era l’ultimo giorno di scuola quindi, fortunatamente, non dovetti tornarci fino al giorno degli esami. Giorno in cui rividi lui … Lui con lei, per la precisione. Nel parcheggio, ben nascosti dal tronco nodoso di un ulivo, mentre ridevano e si baciavano. Fu come uno schiaffo.”
“Perché lo ha fatto, se davvero era tua amica?” “Vedi Delia, delle volte le persone sono convinte di volere qualcosa, o qualcuno, e non si rendono conto che la loro non è vera passione. Ma solo un effimero desiderio di prevaricare qualcun altro, di dimostrare a se stessi di valere più dell’altra persona. Un po’ com’è successo a te con Miriam: non sopportava l’idea che tra le due fossi la più ricercata e, spinta dalla brama di attenzioni, ha voluto sputtanarti … E di nuovo, scusami il francesismo! Comunque sia, dati gli esami, quei due non li ho più visti. Anzi, ho proprio chiuso ogni tipo di contatto soprattutto con Clarissa, di cui non sopportavo più nemmeno il nome. Ma la perdita maggiore rimaneva sempre quel prezioso dipinto che avevo dovuto cedere alla scuola. Poi accadde una cosa. Mi recai all’Accademia per ritirare dei documenti e svuotare il mio armadietto, ancora pieno delle mie cianfrusaglie. Quando lo aprii ci trovai un regalo …”
Delia spalanca gli occhi in un’espressione di pura meraviglia. Sembra essersi già dimenticata di quel dolore che l’ha chiusa in questa stanza. “Il dipinto!”
Annuisco. “Non c’era nessun biglietto o messaggio, solamente lo scontrino di un bar. Grazie a quello ho capito da chi arrivasse quel dono inatteso. Era lo scontrino della bevuta natalizia con un arrogante e interessante professore di storia dell’arte … Dentro di me ho sorriso con tutto il cuore per quel gesto e, anche se non gliel’ho mai detto, spero sinceramente che sia consapevole dell’importanza che ha avuto per me.”
Mi passo una mano sulla fronte. Sapevo che sarebbe stata dura far riemergere questa storiella, ma non pensavo che mi sarei sentita anche frastornata. Come se la mente si fosse di colpo alleggerita.
“E quindi? Com’è finita?” Per un secondo ho scordato quella quattordicenne impaziente al mio fianco ed ora torno a guardarla quasi disorientata. “Ah … Com’è finita … E’ finita che non li ho più sentiti e, da quello che mi è stato riferito, i due sono stati una coppietta per qualche tempo per poi andare ognuno per la sua! Io già uscivo con un altro …” “Lo zio Umberto?” mi scappa una fragorosa risata nel paragonare quell’amore dimenticato all’uomo che ora chiamo marito. “No, figurati! Anche se lo zio già lo conoscevo … Solo che era davvero impacciato e timido: ha impiegato anni e parecchie mie relazioni, prima di farsi avanti! Non puoi capire che fatica è stata aspettare che si decidesse!!”
La porta si apre ed entra Massimo, mio fratello. Piano piano sguscia dentro con la testa riccia, sperando di non disturbare i nostri discorsi fra donne. “Volevo solo farvi presente che la cena è pronta! Nadia, è arrivato Umbe’.” Così com’è entrato, sparisce.
Tornate sole rimaniamo un po’ in silenzio. Io ripenso a quel pazzo periodo dell’Accademia mentre Delia, probabilmente, riflette sul da farsi.
“Quindi, cosa devo fare zia? La perdono Miriam? O la lascio perdere e, come hai fatto tu, vado avanti per la mia strada?”
Le fisso gli occhi scuri ormai completamente asciutti e scorgo nelle sue pupille il peso che questo dilemma le procura. Certo, per noi adulti i drammi adolescenziali sembrano davvero piccoli ed effimeri ma, come ho detto, emotivamente non mi sento troppo differente dalla ragazzina che ho di fronte.
“Beh, questo mica posso saperlo! Spetta a te decidere, ormai sei abbastanza grande. Io però posso dirti una cosa: andrà tutto bene, sempre! E sai perché? Perché, nonostante tutto, ci sarà sempre qualcuno disposto anche a rischiare pur di riportarti il tuo dipinto più prezioso.”
Mary