Scomodiamo i ricordi

“Hey …” lentamente spingo la porta di metallo appena accostata ed entro nella stanzetta in penombra. Me la ritrovo seduta a terra. La schiena appoggiata al lato del letto, le ginocchia al petto e stretto fra le braccia quel suo enorme cuscino rosa. “I tuoi mi han detto che eri qui.” le dico quasi sussurrando mentre mi ci siedo accanto. È in quel momento che mi accorgo dei suoi occhi, ben più che semplicemente velati dalle lacrime. Sto per chiederle cos’è successo, anche se già ne sono stata messa al corrente, ma lei fulminea mi precede. “Perché le persone arrivano sempre a deluderti? Miriam era la mia amica migliore … E invece ha messo in giro tutte quelle voci.” per la prima volta da quando sono entrata punta i suoi occhi nei miei, giusto il tempo di pormi una domanda carica di malinconia. “Perché zia?! Perché la gente prova gusto a ferire?” Non ho scudi contro quegli occhi liquidi, tremendamente sinceri. Le avvolgo il braccio destro sulle spalle e me la stringo un po’. È restia al contatto prolungato, lo so, infatti dopo pochi istanti si scosta ed io rimango ad osservare il morbido movimento dei suoi capelli scuri. Anagraficamente sono lontana ormai vent’anni da questi drammi adolescenziali ma emotivamente non sono poi tanto diversa dalla quattordicenne in lacrime che mi siede al fianco.

“Ti racconto un aneddoto. Qualche anno fa, dieci per la precisione!” faccio una smorfia a sottolineare il mio disappunto nei confronti del tempo in avanzata e perlomeno le strappo un sorriso. “Ho frequentato un’Accademia d’Arte. Era un progetto che tenevo nel cassetto da molto tempo e finalmente mi decisi a tirarlo fuori da lì …”

“E questo cosa centra zia?” mi volto divertita nella sua direzione. “Centra! Perché, oltre ad essere stata per me un’esperienza al di sopra delle più floride aspettative, è stata anche l’ultima volta in cui mi sono lasciata fregare da una persona che credevo amica!” Torna a fissare la punta dei suoi piedi, pronta ad ascoltare.

“Ero nuova della classe ma non mi risultò difficile acclimatarmi anzi, conobbi subito una ragazza con la quale pareva avessi molto in comune. Andavamo davvero tanto d’accordo e dopo poche settimane sembravamo praticamente inseparabili. Clarissa. Così si chiamava …” mi scappa involontario un sorriso, non pensavo a quel nome da un sacco di tempo. Non pensavo a lei da un sacco di tempo! Sospiro, consapevole della porta che si spalancherà dentro ai miei ricordi appena inizierò a raccontare.

“Senza perderci in reminiscenze arrivo al punto: il prof di storia dell’arte ed io eravamo invischiati in una sorta di bizzarro conflitto. Aveva appena dieci anni più di me. Io, all’epoca, frequentavo spesso uomini più grandi e questo mi rendeva difficile vederlo come un vero professore. Per me era semplicemente un coetaneo dei ragazzi con i quali giravo. Non ricordo il motivo dell’astio reciproco ma compenso con la memoria dei continui nostri battibecchi, delle prese in giro e delle frecciatine che ci lanciavamo nei corridoi. Era una lite alla Tom & Jerry, nulla di serio. Però stavo davvero iniziando a non sopportarlo più: le sue ore preferivo spenderle davanti alle macchinette oppure in cortile a fumare …”

“Fumavi, zia?” Eh già, a lei non l’ho mai detto! Penso distrattamente. “Si, sono stata una fumatrice per diversi anni …” “E perché hai smesso?” soppeso la domanda e la possibile risposta. “… Vorrei dirti perché sono cresciuta, ma …” un’altra smorfia sul mio viso, questa volta non si tratta di disappunto ma di scarsa convinzione. Mi rasserena vedere che ancora riesco a farla ridere.

“Riprendiamo!” sussurro facendole l’occhiolino, ammaliata dalla naturale brillantezza dei suoi occhi neri. “Come stavo dicendo prima che mi interrompessi … Le sue lezioni cercavo di evitarle e quando mi capitava di parteciparvi non riuscivo a trattenermi dal rapportarmi con menefreghismo e sufficienza. Stessa cosa faceva lui, ogni volta che azzeccavo una risposta ad una sua domanda. La cosa strana è che, nonostante mi perdessi davvero tante spiegazioni, la sua materia non è mai stata un problema: apprendevo tutto con facilità, arrivando spesso ad ottenere voti parecchio alti! Comunque sia, verso la metà dell’anno ero ormai satura e pronta a scoppiare. Per quanto mi riguardava, due erano le possibili motivazioni: o davvero gli stavo antipatica -ed ero determinata a scoprirne la causa- oppure, e qui scusami il francesismo, mi si voleva fare!” Scoppio a ridere al ricordo di quanto fossi scema! “E cosa hai fatto?” “La più semplice delle cose: l’ho invitato a bere un drink! Dopo la cena di Natale organizzata dalla classe ho aspettato fuori dal ristorante con la scusa di fumare una sigaretta. Tutti stavano salutandosi sulla soglia e fingendo di voler fare altrettanto, mi avvicinai. Quei tortellini mi hanno seccato un po’ la gola, le andrebbe di farmi compagnia per un bicchiere di qualcosa di fresco? Il suo sguardo passò rapidamente dalla diffidenza, alla confusione per finire nella riflessione. Poi sorrise e capii che era fatta. Certo! Non si lascia bere da sola una signora!Signorina, prego!Mi permetto di contraddirti Nadia, la forma più corretta è Signora! A quanto pare è considerata politicamente corretta! Mi lasciai sfuggire un sospiro. Non eravamo ancora rimasti completamente soli e già faticavo a tollerarlo. Ci fermammo in un posto carino e, tra l’imbarazzo iniziale, ordinammo da bere. Devo ammettere che riuscì a sorprendermi: fuori dall’Accademia risultava perfino simpatico. Le sue battute erano argute e la sua risata sincera. Aveva da condividere parecchi racconti interessanti e gli piaceva ascoltare … Non me lo sarei mai aspettato ma si dimostrò anche un vero gentiluomo quando, vedendomi infastidita dall’aria condizionata del locale, mi posò la sua giacca sulle spalle. Ora, che rimanga fra me e te, ma non ero davvero abituata a certe attenzioni.”

Lei mi guarda, rapita e sconcertata al tempo stesso. “Perché no?” “Beh, considerando certi individui che frequentavo … Ma credo sia il caso di approfondire la questione quando sarai un pochino più grande! Per il momento accontentati di questo racconto, di cui certo non vado particolarmente fiera!” Ridiamo. Mentre getta a terra l’enorme cuscino rosa ruotando verso di me, strisciandosi a terra con le gambe ancora incrociate, le osservo gli occhi. Ora sono quasi asciutti, anche se il pianto le ha arrossato la sclera. Appena smette di agitarsi nella ricerca di una posizione comoda, riprendo.

“Per farla breve … Quella sera andò bene, molto bene! Della serie che … Trascorsi nemmeno dieci giorni, uscimmo un’altra volta. E dopo di allora, uscimmo ancora e ancora e ancora. Certo, era imbarazzante vederlo in classe … Nessuno doveva sapere nulla, quindi eravamo obbligati a recitare le nostre parti. Io la studentessa un po’ svogliata e lui il professore un pochino troppo stronzo! La faccenda si fece seria quando una sera mi invitò a cena a casa sua. Si era messo ai fornelli per cucinarmi non ricordo quale tipo di risotto. Forse alle fragole … No, credo fosse allo spumante! Non lo so, ma era certamente delizioso tanto che ne divorai due porzioni mentre lui mi osservava, divertito dal mio poco femminile appetito. Ovviamente non fu il risotto a complicare tutto … Diciamo che la colpa fu più che altro del dessert. Particolarmente delizioso pure quello …”

Altra cosa a cui non pensavo da parecchio tempo. Strano com’è: entri in una camera per consolare tua nipote e ti ritrovi a scomodare un passato a cui non davi voce da troppo. Quando torno a guardarla vedo sulla punta della sua lingua un’ovvia domanda, così la precedo. “Non ci pensare nemmeno! Prima di svelarti quale fosse il dolce prelibato che mangiai quella sera, dovranno passare ancora un po’ di anni!” Confusa, vedo nei suoi occhi qualcosa che non mi piace e un brivido di imbarazzo mi risale la schiena. “Ci sei andata a letto?!” Esattamente quello che temevo!

“Hey! Ero single, ci trovavamo attraenti e poi era già qualche tempo che ci stavamo frequentando! Ma … Sto pure a giustificarmi con te, è ridicolo! Taci e ascolta la storia della tua quasi vecchia zia!! La mattina seguente risultò chiaro ad entrambi che non potevamo più fingere che le nostre uscite fossero puramente amichevoli, c’era di più! E ormai avevamo oltrepassato quel limite che avremmo dovuto mantenere intatto. Erano i primi di giugno quando mi chiese di incontrarlo al solito bar. Vedendolo da lontano già avevo capito: era lì per chiudere e, nonostante mi rattristasse, ero consapevole che fosse la decisione migliore. C’era troppo a rischio. La sua carriera, i miei esami … La nostra credibilità. Non mi sbagliai. Il tempo di accendere e finire un paio di sigarette e ci dividemmo. Era l’ultima settimana di corso quindi non mi preoccupai troppo di prendere parte alle sue ore. Alle altre lezioni partecipavo con entusiasmo invece, soprattutto a quella di pittura. La mia preferita! Io e Clarissa eravamo le più rumorose durante quei sessanta minuti ma anche le più dotate, quindi ci veniva perdonata qualche chiacchiera in più. Un giorno l’insegnate ci chiese di disegnare ciò che per noi rappresentava la libertà. Io dipinsi un leone maestoso e fiero. Ritto sulle quattro zampe nel mezzo di un poco profondo torrente, con la criniera sconvolta dal vento …”

“Quello in casa tua!” appoggio una mano sulla sua testa. “Smettila di spoilerarti i finali! Certo che voi ragazzini non spiccate per la pazienza, eh?!” sorrido.

“Era certamente il mio quadro migliore! Purtroppo il prof pensava altrettanto e decise di inglobarlo tra gli averi della scuola, per poterlo mostrare al pubblico alle occasioni buone! Ne ero orgogliosa ovvio, ma il dispiacere di rinunciarvi mordeva più dell’orgoglio. Non potendo farci nulla, accettai. Accadde proprio dopo una lezione di pittura che Clarissa mi si avvicinò. Da un po’ di giorni la vedevo strana, distaccata, nervosa. Pensavo avesse qualche problema per la testa. Invece sputò una frase che non mi sarei mai aspettata. Ti chiedo scusa Nadia. La guardai inebetita perché non trovavo il motivo delle sue scuse. Finse della compassione nello sguardo e nel leggero sospiro che buttò fuori dalle labbra. Forse non lo sai ancora. Esco con il professor Tozzi, Michele per me! Una fitta mi attraversò lo stomaco. Ah, davvero? Wow, che notizia. Ne sono felice. Era un po’ che gli sbavavi dietro! Simulai dell’allegria poco convincente. Per questo non ti vedevo più? Eri troppo impegnata con il tuo nuovo amore? Non devi chiedermi scusa per questo, Clari! Ti ho chiesto scusa perché lui ha preferito me a te! In quel momento non solo lo stomaco mi bruciò terribilmente, ma il cuore si contrasse. Che frase meschina da dire ad un’amica e poi … Come faceva a sapere di me e Michele?! Cosa stai dicendo? Nadia, credevi davvero che non mi fossi accorta di nulla? Non sono mica così scema. Sono mesi che lo so! Ne ho avuto la conferma quando ho guardato nel tuo telefono … Ero fuori di me. Come ti sei permessa? Smettila Nadia! Non frega a nessuno dei tuoi piagnistei! Sai invece cos’è importante? Che lo volevo io e me lo sono preso! Quella frase fece ancora più male. Fece davvero tanto male! Rischiava la carriera frequentando te. Io gliel’ho solamente fatto notare, calcando un po’ la mano forse … Ma l’importante è che abbia preso la decisione giusta! Inizialmente non ne era molto convinto di darti quell’appuntamento al bar ma, sai com’è, agli uomini basta dare la giusta dose di incentivi! Certo, anch’io sono una sua allieva ma non me ne vado in giro con gli occhi a cuoricino come facevi tu. Sono una persona più discreta. Un po’ me ne vergogno ma devo ammettere che faticai a trattenere le lacrime. Mi sentivo talmente tradita da non riuscire quasi a parlare. Riuscii a sussurrare solamente una frase, piena di rabbia e di delusione. No Clarissa, tu sei una persona schifosa! Me ne andai. Era l’ultimo giorno di scuola quindi, fortunatamente, non dovetti tornarci fino al giorno degli esami. Giorno in cui rividi lui … Lui con lei, per la precisione. Nel parcheggio, ben nascosti dal tronco nodoso di un ulivo, mentre ridevano e si baciavano. Fu come uno schiaffo.”

“Perché lo ha fatto, se davvero era tua amica?” “Vedi Delia, delle volte le persone sono convinte di volere qualcosa, o qualcuno, e non si rendono conto che la loro non è vera passione. Ma solo un effimero desiderio di prevaricare qualcun altro, di dimostrare a se stessi di valere più dell’altra persona. Un po’ com’è successo a te con Miriam: non sopportava l’idea che tra le due fossi la più ricercata e, spinta dalla brama di attenzioni, ha voluto sputtanarti … E di nuovo, scusami il francesismo! Comunque sia, dati gli esami, quei due non li ho più visti. Anzi, ho proprio chiuso ogni tipo di contatto soprattutto con Clarissa, di cui non sopportavo più nemmeno il nome. Ma la perdita maggiore rimaneva sempre quel prezioso dipinto che avevo dovuto cedere alla scuola. Poi accadde una cosa. Mi recai all’Accademia per ritirare dei documenti e svuotare il mio armadietto, ancora pieno delle mie cianfrusaglie. Quando lo aprii ci trovai un regalo …”

Delia spalanca gli occhi in un’espressione di pura meraviglia. Sembra essersi già dimenticata di quel dolore che l’ha chiusa in questa stanza. “Il dipinto!”

Annuisco. “Non c’era nessun biglietto o messaggio, solamente lo scontrino di un bar. Grazie a quello ho capito da chi arrivasse quel dono inatteso. Era lo scontrino della bevuta natalizia con un arrogante e interessante professore di storia dell’arte … Dentro di me ho sorriso con tutto il cuore per quel gesto e, anche se non gliel’ho mai detto, spero sinceramente che sia consapevole dell’importanza che ha avuto per me.”

Mi passo una mano sulla fronte. Sapevo che sarebbe stata dura far riemergere questa storiella, ma non pensavo che mi sarei sentita anche frastornata. Come se la mente si fosse di colpo alleggerita.

“E quindi? Com’è finita?” Per un secondo ho scordato quella quattordicenne impaziente al mio fianco ed ora torno a guardarla quasi disorientata. “Ah … Com’è finita … E’ finita che non li ho più sentiti e, da quello che mi è stato riferito, i due sono stati una coppietta per qualche tempo per poi andare ognuno per la sua! Io già uscivo con un altro …” “Lo zio Umberto?” mi scappa una fragorosa risata nel paragonare quell’amore dimenticato all’uomo che ora chiamo marito. “No, figurati! Anche se lo zio già lo conoscevo … Solo che era davvero impacciato e timido: ha impiegato anni e parecchie mie relazioni, prima di farsi avanti! Non puoi capire che fatica è stata aspettare che si decidesse!!”

La porta si apre ed entra Massimo, mio fratello. Piano piano sguscia dentro con la testa riccia, sperando di non disturbare i nostri discorsi fra donne. “Volevo solo farvi presente che la cena è pronta! Nadia, è arrivato Umbe’.” Così com’è entrato, sparisce.

Tornate sole rimaniamo un po’ in silenzio. Io ripenso a quel pazzo periodo dell’Accademia mentre Delia, probabilmente, riflette sul da farsi.

“Quindi, cosa devo fare zia? La perdono Miriam? O la lascio perdere e, come hai fatto tu, vado avanti per la mia strada?”

Le fisso gli occhi scuri ormai completamente asciutti e scorgo nelle sue pupille il peso che questo dilemma le procura. Certo, per noi adulti i drammi adolescenziali sembrano davvero piccoli ed effimeri ma, come ho detto, emotivamente non mi sento troppo differente dalla ragazzina che ho di fronte.

“Beh, questo mica posso saperlo! Spetta a te decidere, ormai sei abbastanza grande. Io però posso dirti una cosa: andrà tutto bene, sempre! E sai perché? Perché, nonostante tutto, ci sarà sempre qualcuno disposto anche a rischiare pur di riportarti il tuo dipinto più prezioso.”

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Da web

Mary

Le due facce di una moneta non sono Testa e Croce, ma Luce e Ombra …

Bentornati Sperduti,

nel mio ultimo (breve) articolo vi ho accennato ad un anaffettivo cronico per il quale ho impiegato circa un anno del mio tempo, nella speranza che – finalmente – prendesse una decisione riguardo quel “noi due” che sembrava delinearsi tra i contorni delle centinaia di parole fuoriuscite dalle nostre bocche, durante quelle centinaia di discorsi affrontati in centinaia di serate dai profumi differenti.

Se ora sono qui a parlarvene, significa una cosa soltanto: il “noi due” è rimasto diviso in due “io”, senza punto d’incontro.

Prima di sviscerare cause – colpe – ragioni – sentimenti, credo sia giusto fornire delle delucidazioni a riguardo, in modo che (forse) si possa meglio comprendere la mia ostinata e cocciuta speranza di vederlo “mio”.

Il Caso ha voluto che, proprio io e lui, diventassimo vicini di casa quando ancora ero un bambina piccina intenta alle bambole e ai pastelli colorati.

Uno sguardo dalla finestra, ed eccolo: un bellissimo ragazzo dai capelli biondi, lunghi fino alle spalle, con una faccia particolare – di quelle che ti rimangono impresse e che non risultano mai banali -, due occhi talmente verdi che sembrano capaci di riflettere la lucentezza del sole e quell’atteggiamento comune fra molti nati negli anni ’80: un misto fra un hippy di Woodstock e un proletario infiammato dalla lotta ai diritti del lavoratore.

Nemmeno il tempo di arrivare a compierne tredici che già lo fissavo estasiata, nascosta dietro le tende della mia cucina. Non riuscivo a fare a meno di guardarlo, con quella sua camminata un po’ molleggiata e un po’ trascinata.

Più crescevo, più ne ero affascinata.

Tramite ricerche sul campo (che si sa: nei paesi tutti sanno tutto di tutti!) ne ho scoperto il nome, l’età e brandelli di storia … Tra cui un suo grande hobby – nonché secondo lavoro – : la musica! Infatti si tratta di un dj che suona ormai da una ventina d’anni in circa tutti i locali del luogo e zone limitrofe. Ed era proprio in quei bar che andavo, una volta raggiunta l’età dei sedici. Mi sedevo ai tavolini e lo guardavo. Ascoltavo le note uscire dalle sue labbra e i miei occhi si arricchivano con ogni suo movimento, anche il più banale o impercettibile. Ogni tanto – probabilmente accortosi del mio sguardo fisso – si voltava un istante e sorrideva. Dritto rivolto a me. Ed io rossa come un pomodoro di stagione! Sono iniziati poi i saluti, timidi, quando ci incontravamo per la strada o in quella Piazza; che fino a pochi giorni fa chiamavamo “La nostra piazza!”.

Sempre il Destino, verso i miei diciassette, ha optato per farmi conoscere una persona che lavorava nella sua stessa fabbrica. Una persona che, di quando in quando, andavo a trovare in ufficio e, un caldo pomeriggio d’estate, proprio in quell’ufficio – durante una delle mie visite – è arrivato lui, il bel vicino di casa.

Non facciamo nomi. Chiamiamolo Mr. E.

E’ entrato e dalle sue pupille frenetiche si intuiva giusto un pensiero: “Lei qui?!” … Appena se n’è andato – piacevolmente confuso – ne ho approfittato per chiederne, a questo mio strano aggancio, il numero di telefono.

E’ passato un po’ prima che lo contattassi. Ma una sera, incoraggiata dal calore di qualche drink, ho fatto la mia mossa: “Ciao, sono la tua vicina! Sono al ****, ti va di venire?!” Risposta quasi immediata la sua: “Venti minuti e sono lì!”

Quella sera è arrivato il nostro primo bacio … E a me non sembrava nemmeno vero che quel ragazzo dai capelli chiari che guardavo da lontano, ora fosse sulle mie labbra, con le mani sui miei fianchi. Da lì iniziò la nostra prima “prova” … Un paio di mesi trascorsi a condividere praticamente ogni serata: i bar, la musica, il lago di notte. Piano piano imparavamo a conoscerci.

Ma, come è risaputo: a diciassette anni non si brilla per intelligenza! Infatti, scoraggiata dal suo non avermi ancora posto la famosa domanda “Vuoi essere la mia ragazza?” – cosa comune fra i ragazzi adolescenti, ma non fra gli uomini più grandi – ho iniziato a frequentare altre persone. Cosa di cui non gli ho mai fatto mistero, affermando tranquillamente che, se la nostra veniva reputata una semplice amicizia o comunque una relazione non consolidata, ero libera di guardare ancora in mare.

Già … I diciassette anni!

Morale: la mattina seguente al mio diciottesimo, sdraiati sul divano di casa sua.

Io: “Cosa provi per me?”

Mr. E.: “Non mi sento ancora affezionato a te a tal punto … “

Sono succeduti mesi di lacrime, di rancori verso di lui, di tristezze … Da adolescente!

Ero convinta già allora di essermi innamorata di lui. Poi è accaduta una cosa – e anche in questo, il Signor Destino, mi ha concesso un gran regalo! – ho incontrato il ragazzo che, senza ancora saperlo, avrebbe condiviso con me la bellezza di sette anni di cammino.

Questa la premessa che ci riporta al presente in cui, ricordiamolo: quel potenziale “noi due” è rimasto diviso in un “Mr. E.” e in una “Miss M.”.

Avviate le pratiche sentimentali con il mio cuore per la chiusura definitiva di quel passato settenario, il Destino – sempre lui – ha tirato i dadi per la milionesima volta facendomi rincontrare quel bellissimo ragazzo – ormai uomo – dagli occhi troppo verdi, in quella che sarebbe stata chiamata “La nostra piazza”. Parlava al cellulare. Appena mi ha visto ha fatto segno che lo raggiungessi. E ancora non mi sembrava vero. Qualche convenevole – “Come va? Tutto bene?” “Si, tu? Che fai, vai a suonare?” – e ha controllato di avere ancora il mio numero in rubrica.

Il nostro primo appuntamento dopo sette anni: fermi in un parcheggio, nella sua auto, la pioggia nervosa sui vetri, i fulmini … E noi dentro, con la musica calda e le sigarette accese. Due ore a parlare. Probabilmente di nulla. E nessuno dei due si capacitava del fatto che fossimo ancora lì, così. Lui al posto di guida, io accovacciata nel sedile del passeggero. Eravamo tornati. Non si sa in quale modo, il perché … Ma eravamo di nuovo lì!

… Era luglio del 2017, se non ricordo male.

Sono succeduti messaggi, serate, appuntamenti, bevute, canzoni, risate, confessioni e chiacchiere … Mesi e mesi di tutto questo.

Ho sempre trovato che la vita, con lui, brillasse di colori più vivi – anche se non so spiegarmene il motivo. Con lui l’aria è più frizzante e leggera, ed è facile annusare le gradazioni tenue delle stagioni. Ma Mr. E. non parla mai … Però osserva. Infatti ha impiegato sei mesi soltanto per dirmi che mi trova bella, ma il suo sguardo mi ha sempre parlato molto di più! Due occhi che sorridono quando incrociano i miei in mezzo alla gente, che controllano seri gli uomini che mi si avvicinano, che si riempiono d’orgoglio quando raggiungo un obiettivo o quando lascio sbalordite le persone difendendo a testa alta ogni mio valore.

Bello, eccitante … Ma, a poco a poco, la corda andava stringendosi e la voglia di smetterla di trattenere i sentimenti che andavano ingigantendosi, bussava sempre più forte.

E’ capitato una sera, mentre facevamo l’amore, che quelle due parole brevissime ma pesanti di significato, mi uscissero dalle labbra senza che nemmeno me ne rendessi conto: “Ti amo.”. Non aspettavo una risposta; come ho detto: Mr. E non parla mai! Infatti non si è smentito. Però qualcosa nel suo atteggiamento è cambiato. Più dolce, più attento, più preso … Ma sempre ostinatamente anaffettivo. Terrorizzato dall’ipotesi di lasciarsi andare; di lasciarsi amare e di aver qualcuno da amare a sua volta.

A maggio 2018 non ce l’ho fatta più! “Cazzo Mr. E., vogliamo provarci o rimaniamo in stallo per sempre?!” … “Proviamoci!”.

Già, peccato che lui, a fare il fidanzato non sia proprio bravo!

Tra serate, turni in fabbrica, gli amici e l’alcol … Io ero ai suoi occhi ancora più invisibile di prima. Poco tempo e ho deciso di chiudere. Meglio amici che si vedono tanto, piuttosto che fidanzati che non si vedono mai! Ho pensato. Ancora qualche uscita, qualche serata, qualche bicchiere, qualche chiacchiera. Nonostante avessimo optato per una “sana e strana amicizia”, lui sembrava più coinvolto e pure io lo ero, anche se cercavo di mascherarlo. Sono arrivati i discorsi importanti – buttati lì come frasi scherzose fra le nostre centinaia di discorsi, “ … Tu, vestita di bianco …” …

E poi, ancora una volta, il Destino ha rimescolato il mazzo di carte che è la mia vita e mi ha fatto conoscere Mr. R., un ragazzo di scuola (cosa che approfondirò prossimamente!) che se ne è rimasto in disparte fino a quegli ultimi due mesi di lezione … “Mi piace come ridi …”. Già, ed io che lo avevo notato ancora ad ottobre ma che nemmeno avevo provato ad avvicinarlo. Troppo timido – Mr. R.; troppo presi da altro – entrambi; troppo persa in quella fedeltà ostinata per la storia fantasma con Mr. E. – io. Per questa ultima ragione, al suo avvicinamento, ho reagito amichevolmente lasciando intendere che già mi reputavo impegnata … Ma i giorni passano e, se da una parte c’è un uomo incapace di esternare il proprio affetto, dall’altra c’è un ragazzo con cui mi piace davvero molto fermarmi a parlare. Un ragazzo intelligente e senza filtri, che mi guarda e mi sfiora le mani, che mi abbraccia anche in mezzo alla gente e mi solleva in braccio mentre si aspetta tutti in gruppo di entrare a fronteggiare il famoso quizzone di Maturità.

Dopo dieci mesi aggrappata al sottile filo del forse di Mr. E., quella semplicità di esserci di Mr. R. non mi ha lasciata indifferente. Ma, cocciuta a livelli esasperanti, non riuscivo a far passare l’immagine di quegli occhi verdi dal mio cuore … Quindi, caro Mr. R., amicizia! Non ne è stato felice. Ma non posso fingere che l’altro Mr. non occupi già troppo spazio!

Arriviamo dunque a ieri mattina quando il trillo di un messaggio mi sveglia – ultimamente ho il sonno leggero. Sono le sei e sul display brillano quattro messaggi di Mr. E. Stupidamente ne sono felice … Prima di leggerne il contenuto: una carrellata dei peggio insulti, i classici che gli “uomini” (ovviamente tra “ “) dedicano alle donne! Sono seguiti più di una decina di messaggi simili (tutti suoi! Io ero troppo assonnata per connettere la testa alle dita!), con una conclusione della serie: “Non rompermi più i coglioni, testa di cazzo!”. Il movente di tale rabbia incontrollata? A detta del caro ragazzo dai biondi capelli, quella notte Mr. R. pare sia andato a cercarmi nel bar in cui suona lui (cosa non vera! Molto più probabilmente, qualche suo”amico” gli avrà riferito di averci visto assieme – io e l’altro Mr.), mossa che gli ha ben fatto capire che l’ho solamente preso in giro e che questi mesi in cui l’ho aspettato non valgono più di un banale “vaffanculo”!

Non lo sento da quella mattina …

Un’esplosione di cattiveria che mi ha moralmente lasciata confusa e ferita, anche arrabbiata … Perché non pensavo potesse rivolgersi così a me.

Durante questi mesi, ogni persona che incontravamo veniva a dirci che eravamo fatti l’uno per l’altra … Ma cosa possono poi saperne le persone, della reale seconda faccia di una moneta?! Che poi, non si tratta mai di Testa e Croce, ma sempre di Luce e Ombra. E quando la freddezza dell’Ombra supera la lucentezza della Luce, vuol forse dire che quella tra le mani non è altro che una Moneta marcia … E sarebbe bene gettarla via.

Ancora adesso mi viene da riflettere sulla consapevolezza che esistono due tipi di persone: alcune sono un Ponte che collega il nostro passato al nostro avvenire, permettendoci di passare aldilà; altre, semplicemente, sono Casa. Io, Mr. E., ancora non ho capito a quale categoria appartenga.

Fa male stare con lui come fa male rimanere con la sua sola assenza …

Quanto posso sembrare stupida se ammetto che: So che è una gran testa di cazzo, ma che è anche l’unica testa di cazzo di cui sentirò la mancanza?!

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Immagine presa da Internet

Mary