Quando non si ha altro da fare, si pensa (versione a Tre Colori)

Papà ha prestato Naia nel Gruppo Alpini e, da piccina, mi ha letteralmente cresciuta con i racconti di quei durissimi – seppur indimenticabili – mesi al servizio dello Stato (meglio dire della Bandiera, che a rigor di logica è Lei al capo di questo bellissimo Paese). Penso abbia iniziato con questi racconti un po’ per malinconia, un po’ perché erano belle favole da raccontare alla figlia seduta ad occhi curiosi davanti a lui, ma col tempo la colpa è certamente mia. Non ne avevo mai abbastanza di quelle storie, mi sembravano narrare di un altro mondo eppure papà, il mio papà, ne era il protagonista. Come fosse un universo lontano ma non troppo. Davanti ai Monumenti ai Caduti o alle armi dormienti nei musei gli chiedevo di spiegarmi ogni cosa. La storia. Leggevo con lui i nomi di quei ragazzi morti lontano e ogni volta, in un dignitoso silenzio, io e lui, rendevamo onore a quei volti che non conoscevamo. Il cuore mi si stringeva un po’ di dolore e un po’ d’orgoglio. Quando magari camminavamo per strada, chiedevo a papà di cantarmi le canzoni che cantava in marcia. Motorizzati a piè. E’ stata la mia prima canzone alpina preferita. Io lo ascoltavo e fiera gli canticchiavo in sottofondo appena arrivava al ritornello, che era l’unico pezzo che conoscevo. Ricordo ancora quando, passeggiando una sera, alla centesima volta che lo sentivo cantare
Il sedici settembre
nessuno l’aspettava
la cartolina rosa
ci tocca di partir …
mi voltai e gli chiesi: “Papà, cos’è la cartolina rosa?” “L’avviso di chiamata alle armi.” Avevo forse otto/dieci anni; e forse papà non se ne accorse, ma quando pronunciò quella frase decelerai. Di colpo sentii un tonfo forte dentro al cuore e mi si velarono gli occhi di lacrime – che, da ciò che ricordo, ricaccia indietro -. In quel momento, la mia canzone alpina preferita, prese davanti ai miei occhi un significato completamente diverso da ciò che gli avevo attribuito. Quei ragazzi, che io mi immaginavo marciare come papà mi raccontava di aver marciato, se ne andavano in realtà alla guerra. Papà andava in marcia in esercitazione. Loro invece andavano al fronte. Per anni non ascoltai più quella canzone. Era come se mi facesse troppo male.
Le storie di papà continuai invece a richiederle. A dire il vero, qualche volta, lo faccio ancora. E grazie a quelle storie quando guardo la Bandiera, quando guardo il Tricolore, ogni esatta volta, una dolce stretta al cuore mi prende e tutto ciò che penso è: Quanto è BELLA la nostra Bandiera!
E proprio questa sera che hanno mandato in onda il documentario rEsistiamo mi sono ricordata di tutte quelle voci – le nostre voci – che cantavano al cielo quel fantastico Inno che ci parla della nostra Casa; di tutti quei Tricolore a sventolare sopra i tetti o sotto le finestre; alle melodie dai balconi e ai saluti urlati da un condominio all’altro; alle candele accese; ai video di una dolcezza e una poesia toccanti mandati per rete con un unico scopo: farci compagnia.
Ma la cosa più bella è stata vedere le persone RICORDARSI di essere fiere di questa Casa. Cazzo, siamo Italiani! Ma quanto bello è poter dire: E’ l’Italia la mia Patria!
E’ da quando son piccina che questa frase mi riempie il cuore di un amore che ancora non so descrivere.
Noi siamo italiani. Penso sia un gran cosa.

Mary

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