Quando non si ha altro da fare, si pensa (versione a Tre Colori)

Papà ha prestato Naia nel Gruppo Alpini e, da piccina, mi ha letteralmente cresciuta con i racconti di quei durissimi – seppur indimenticabili – mesi al servizio dello Stato (meglio dire della Bandiera, che a rigor di logica è Lei al capo di questo bellissimo Paese). Penso abbia iniziato con questi racconti un po’ per malinconia, un po’ perché erano belle favole da raccontare alla figlia seduta ad occhi curiosi davanti a lui, ma col tempo la colpa è certamente mia. Non ne avevo mai abbastanza di quelle storie, mi sembravano narrare di un altro mondo eppure papà, il mio papà, ne era il protagonista. Come fosse un universo lontano ma non troppo. Davanti ai Monumenti ai Caduti o alle armi dormienti nei musei gli chiedevo di spiegarmi ogni cosa. La storia. Leggevo con lui i nomi di quei ragazzi morti lontano e ogni volta, in un dignitoso silenzio, io e lui, rendevamo onore a quei volti che non conoscevamo. Il cuore mi si stringeva un po’ di dolore e un po’ d’orgoglio. Quando magari camminavamo per strada, chiedevo a papà di cantarmi le canzoni che cantava in marcia. Motorizzati a piè. E’ stata la mia prima canzone alpina preferita. Io lo ascoltavo e fiera gli canticchiavo in sottofondo appena arrivava al ritornello, che era l’unico pezzo che conoscevo. Ricordo ancora quando, passeggiando una sera, alla centesima volta che lo sentivo cantare
Il sedici settembre
nessuno l’aspettava
la cartolina rosa
ci tocca di partir …
mi voltai e gli chiesi: “Papà, cos’è la cartolina rosa?” “L’avviso di chiamata alle armi.” Avevo forse otto/dieci anni; e forse papà non se ne accorse, ma quando pronunciò quella frase decelerai. Di colpo sentii un tonfo forte dentro al cuore e mi si velarono gli occhi di lacrime – che, da ciò che ricordo, ricaccia indietro -. In quel momento, la mia canzone alpina preferita, prese davanti ai miei occhi un significato completamente diverso da ciò che gli avevo attribuito. Quei ragazzi, che io mi immaginavo marciare come papà mi raccontava di aver marciato, se ne andavano in realtà alla guerra. Papà andava in marcia in esercitazione. Loro invece andavano al fronte. Per anni non ascoltai più quella canzone. Era come se mi facesse troppo male.
Le storie di papà continuai invece a richiederle. A dire il vero, qualche volta, lo faccio ancora. E grazie a quelle storie quando guardo la Bandiera, quando guardo il Tricolore, ogni esatta volta, una dolce stretta al cuore mi prende e tutto ciò che penso è: Quanto è BELLA la nostra Bandiera!
E proprio questa sera che hanno mandato in onda il documentario rEsistiamo mi sono ricordata di tutte quelle voci – le nostre voci – che cantavano al cielo quel fantastico Inno che ci parla della nostra Casa; di tutti quei Tricolore a sventolare sopra i tetti o sotto le finestre; alle melodie dai balconi e ai saluti urlati da un condominio all’altro; alle candele accese; ai video di una dolcezza e una poesia toccanti mandati per rete con un unico scopo: farci compagnia.
Ma la cosa più bella è stata vedere le persone RICORDARSI di essere fiere di questa Casa. Cazzo, siamo Italiani! Ma quanto bello è poter dire: E’ l’Italia la mia Patria!
E’ da quando son piccina che questa frase mi riempie il cuore di un amore che ancora non so descrivere.
Noi siamo italiani. Penso sia un gran cosa.

Mary

Quando non si ha altro da fare, si pensa (versione natura)

Penso, il più delle volte, che ci sia un motivo dietro ad ogni cosa. Pensarlo toglie un po’ di fardello dalle spalle e aiuta a trovare – quanto meno a cercare – il lato positivo. Un qualcosa da cui ricominciare. Penso che, in questa quarantena, ognuno di noi sta combattendo contro qualcosa. Per la prima volta nella storia dell’uomo moderno, quasi tutta l’umanità simultaneamente si sta confrontando intimamente con il proprio essere. Chi lo affronta in silenzio e in solitudine; chi invece lo fa apertamente condividendo; chi ancora ha una spalla a cui raccontare – una ringhiera cui poggiare il cuore -; chi lo sente e per ora ancora riesce a fare finta di nulla e si distrae come può; chi ne parla magari a voce alta a se stesso. Mi guardo attorno e ascolto discorsi, leggo i volti. Se qualcuno, uno a caso, venisse a dirmi che questo isolamento non ha smosso nulla dentro di lui, non ci crederei. Diciamoci la verità: nell’ultimo mese ci siamo ritrovati tutti a redigere una sorta di bilancio di noi stessi. In assenza di distrazioni superflue, ci siamo ritrovati – forse alcuni per la prima volta – a guardarci dentro invece che in foto, ed è naturale essersi posti qualche domanda. Quando tutte le luci abbaglianti del palco si spengono, voltarsi verso il buio oltre le quinte è disarmante. Però l’uscita è dalla parte opposta di quella stanza buia.

Io me ne sono poste tante, di domande. Di risposte sono ancora carente, ma cerco di rimediare. Ed è quello che stiamo facendo tutti, secondo me. Questo isolamento, che ha vanificato in un secondo le centinaia di distrazioni che avevamo creato per sedare i nostri tormenti – le nostre paure – le nostre insoddisfazioni, sembra quasi un bozzolo. Come quello in cui si vanno a riposare i bruchi prima di iniziare una vita in volo. Forse l’analogia è trita, ma più ci penso e più mi appare quella corretta.

Pochi giorni fa mi è capitata fra le mani una frase. Se dopo questa pandemia non saremo delle persone migliori, non avremo imparato nulla nella vita.

Penso che tutti, in realtà e in silenzio, stiamo imparando qualcosa.

Mary

Challenge #UnLibroInUnGiorno

Una cosa che non ho mai fatto è leggere un intero libro nell’arco di ventiquattro ore, così ho pensato di mettermi in gioco e invitare anche voi a farlo. La sfida partirà questa notte – martedì 14 – a mezzanotte e terminerà mercoledì 15 alla stessa ora. Le regole sono semplici: niente ri-letture (scegliete un libro mai letto prima) e niente al di sotto delle 150 pagine. Io ho già scelto il romanzo con il quale cimentarmi nella challenge (devo ammettere di essere stata condizionata nella scelta dalla visione de Salvate il soldato Ryan, mandato in onda di continuo negli ultimi giorni): Il soldato dimenticato di Guy Sajer.

Per partecipare basta mettere un Mi Piace a questo articolo. Giovedì 16 ognuno di noi posterà l’esito della sua sfida #UnLibroInUnGiorno. Buona lettura Sperduti!

Mary

Quando non si ha altro da fare, si pensa (versione sportiva)

In tempi normali, le mie domeniche pomeriggio possono essere di tre tipi: 1_ A casa dei nonni con tutta la famiglia. A non fare nulla oppure a giocare a carte. Magari tutti assieme a fare due passi per il paese. 2_ Io da sola a casa. Tv e Pc spenti. Sdraiata sul letto appena uscita dalla doccia. Ancora nuda e ancora con i capelli bagnati. 3_ Con Mr. B seduta al tavolino di un bar. Fra sigarette e molteplici aperitivi. Anche se – lo scrivo come personale pacca sulla spalla – ho smesso di fumare proprio in questi giorni. Brava Mary! Quindi potrei correggere così: con Mr. B seduta al tavolino di un bar fra molteplici aperitivi. E qui ci starebbe da sottolineare che mi manca un buon bassotto (pampero + cola) e che mi manca Mr. B. Mi manca davvero davvero tanto oggi. [Giornata down, questa. Forse c’entra la disintossicazione da nicotina? Non lo so. Forse c’entra solamente che mi mancano gli abbracci].

In questi tempi invece, che sono tempi di quarantena, ho trovato un nuovo passatempo da dedicare ai pomeriggi domenicali. Qualcuno se lo ricorda Dawson’s creek? Tra le mie serie tv preferite ed icona della mia infanzia (insieme a Roswell e Buffy – L’ammazzavampiri). Per ora sono alla decima puntata della prima stagione e già ho scovato un dettaglio che mi è piaciuto e mi ha fatto sorridere. Nel suo armadietto, Pacey, ha un poster dei New England Patriots.

Ho iniziato a tifare Patriots circa quattro anni fa. Dal nulla, senza motivo, senza conoscere la squadra. Era il primo Super Bowl che seguivo in diretta. Io e il mio ex avevamo fatto scorta di birra e aspettavamo l’inizio partita dentro ai nostri giganteschi e felpati pantaloni della tuta. Buttando a caso ho esclamato: “Ho deciso. Tifo per questi!”. Sullo schermo svettavano il blu, il rosso, l’argento. Forse il volto era di Brady. Non ricordo. Da quella sera però – in cui abbiamo pure vinto! – mi considero una Patriots.

E quando ho visto la scritta appesa nell’armadietto del signorino Witter sono rimasta scioccata dal fatto che, fra tutte le squadre di football, proprio della mia fosse tifoso. I New England avevano già fatto parte della mia vita – in maniera involontaria e indiretta – ancor prima che io mi accorgessi di loro e li scegliessi. Così ho pensato a quante volte, in realtà, capitano cose del genere. Momenti in cui la vita ci connette con quello che sarà il nostro futuro e nemmeno ce ne accorgiamo, se non col senno di poi.

Non è la prima volta che mi succede. Col mio ex, ad esempio, abbiamo scoperto di esser stati spesso, durante l’infanzia, nello stesso posto nello stesso momento senza ancora conoscerci o, semplicemente, senza manco vederci. E’ buffo. E piacevole. Forse è il modo che usa la vita per farci sapere che abbiamo imboccato il sentiero giusto. O forse si tratta solamente di coincidenze senza significato. Boh. Sta di fatto che l’immagine dei Patriots dentro quell’armadietto mi ha sorpresa al punto da volerla fotografare. Come tangibile testimonianza. Non si sa mai.

Mary

Quando non si ha altro da fare, si pensa (versione sentimental – emotiva)

Quando ero ragazzina si aveva un po’ tutti questa mania di riempire i diari scolastici con le dediche. Io ne ero una sostenitrice entusiasta e ne raccoglievo di buone e di pessime un po’ ovunque, l’importante era trovare qualcosa da trascrivere sulle pagine oppure in bella vista sulla cartella di educazione artistica.

Me ne ricordo una davvero demenziale che avevo letto durante il primo anno di medie sulla cartelletta di una scolara più grande, sull’autobus. In quel momento mi era sembrata una frase geniale e divertente. Ora capisco quanto ero rozza verso i tredici/quattordici anni. Avevo quasi intenzione di riscriverla qui, ma facciamo che anche no.

Ma ieri, me n’è tornata in mente una in particolare, che mi ostinavo a riportare da diario a diario, di anno in anno (insieme alle poche altre che mi piacevano davvero molto). Forse qualcuno di voi l’avrà sentita o magari se la ricorda.

Se ti lascia, digli America. Così saprà che siete Stati Uniti.

A rileggerla ora sembra una sciocchezza, ma durante l’adolescenza ci sembrava qualcosa di profondo. Una poesia urbana. Poche parole per rappresentare il dramma e l’affetto di una separazione giovanile. Ed io la scrivevo (questa, come tutte le altre) con impegno e pazienza in ogni angolo vuoto fra i compiti di matematica e le brevi comunicazioni degli insegnanti (per questo, successivamente, è arrivato il famoso libretto) provando ogni tipo di calligrafia e cercando la mia migliore, testando ogni penna colorata e ogni evidenziatore. Ieri però, per la prima volta, mi sono fermata a chiedermi una cosa: Ci sarà stato qualcuno, o qualcuna, che ha mai usato questa frase veramente? Immagino la scena, anche non volendo. Lei ha capelli castani scuri, mossi e lunghi. Un po’ arruffati. La immagino come una rampante hippy del ’80. Jeans stretti in vita ma larghi alle caviglie, che le strisciano sotto la suola bianca delle scarpe da ginnastica. La canotta di una qualche tonalità acquosa, che la fascia aderente. Mentre lui è semplicemente di spalle. Posso solamente descriverne i capelli: tendenti al nero, un po’ ispidi. Non si stanno lasciando per nessun motivo specifico. Solamente: è giusto così. Nel tempo in cui lui se ne va, lei lo sussurra per davvero. “America.” Probabilmente lui non la sente già più; ma se invece avesse sentito, sarebbe stato in grado di capirla?

Parlare in poesia urbana è complicato, specialmente in amore: non hai mai la certezza che le tue parole vengano capite per il loro reale significato. Un po’ come questo breve articolo, presumo.

P.s La mia dedica preferita era senza dubbio questa: Amo gli adolescenti, perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta. Jim Morrison

P.p.s Ho cambiato idea sulla frase demenziale. Vediamola come un bonus.

La vacca disse al mulo

Ma come ti puzza il culo!”

Il mulo disse alla vacca

Ho appena fatto la cacca!”

Non c’è niente da ribattere, la cacca è un evergreen della comicità. E, a tredici anni, per me era una delle frasi più geniali che avessi letto sopra una cartella di plastica bianca.

Mary

Quando non si ha altro da fare, si pensa (versione fumetti)

E’ tutto il pomeriggio che rifletto su un qualcosa probabilmente ovvio: chissà quanti segreti sono stati scoperti durante questa quarantena; chissà quante coperture sono saltate. Dico che sia ovvio perché è tendenzialmente facile vivere liberi (di uscire, di incontrare, di tornare, di mascherare). Noi siamo nati sotto la Buona Stella della Libertà e non ci siamo mai realmente posti il problema di come sarebbe cambiata la nostra vita in assenza della sua presenza; abbiamo dunque tarato le nostre abitudini giornaliere sulla consapevolezza che, alla necessità, potevamo ben mentire anche ai più stretti della nostra cerchia (i familiari, per intenderci). Magari abbiamo nascosto un piccolo vizio o uno enorme ed ingombrante; magari abbiamo taciuto una relazione – un progetto – un’esigenza – una parte intera del nostro carattere. Io per prima, non nego. Niente di eccessivo. Ma ho preso l’abitudine in adolescenza di tenere, seppur di poco, separate la vita in famiglia con quella mia personale. Lo facciamo tutti, penso. In quantità e per motivazioni diverse, ma lo facciamo tutti. E, come se non bastasse, tutti giudichiamo chi lo fa.

Mi viene da immaginarmi il povero Batman in quarantena. Certo, il fedele Alfred conosce la duplicità dell’esistenza del signorino Bruce, ma mettiamo il caso che durante la quarantena dovessero ospitare nella sfarzosa magione dei lontani zii impiccioni e pettegoli. Forse per le prime due settimane riuscirebbe a frenare il suo istinto (anche perché – Bruce fortunello – casa sua è alquanto spaziosa) ma di punto in bianco, così dal nulla, gustando una coppa di gelato davanti al televisore con zia Ernesta e zio Camillo inizierebbe a sentire un qualcosa di pesante sullo stomaco: chiamasi oppressione. A quel punto nemmeno la visione di Caduta Libera o di C’è posta per te in pigiamone con i parenti riuscirebbe a sollevargli l’umore.

“Dove te ne vai? Ora dicono cosa ci sta sotto il piede bianco. Per me è il Perde tutto!”

“Ehm … Scendo in cantina a cercare del vino, zia.” balbetterebbe il povero Bruce impacciato. “Vino? Dopo il gelato? Sei davvero strano, figliolo. Camillo va con lui, che tu li conosci bene i vini.” Colpito e affondato, Bruce si ributterebbe sotto la coperta di pile del divano.

Nel frattempo le immagini televisive scorrono e quella fastidiosa pesantezza si inasprisce. Il bisogno, anzi: il desiderio, della liberatoria solitudine della Batcaverna gli brucia dentro come il toscanello di zio Camillo che sta sporcando il prezioso tappeto.

Un lampo di genio – anche se banale -. “Vado al bagno.”

Attraversato il corridoio, il senso di pace apparirebbe così gratificante da farlo sorridere. Ad un passo da lui: la maniglia del salotto. Poco ancora e sarà nella sua caverna solitaria. Un passo e il sorriso si allarga. Un altro passo. Sempre più vicino. Allunga le dita e … “Figliolo! Non sta in fondo al corridoio il bagno? Beh, se ne hai uno anche lì dentro, fammi usare quello. Ho tutto uno sciabordare nello stomaco. Vuoi mica che sono diventato intollerante al latte?”

Le dita si ritraggono, le spalle si incurvano e sotto forma di sospiro esasperato escono solo due parole: “Zio Camillo …”

Mah, chissà a chi è capitato. O se è capitato davvero.

Io ci rifletto su. Su questo e un po’ su (non)tutto.

Questa sera però ho ascoltato il Papa che ha voluto ricordarci quanto questa quarantena (che proprio durante la Quaresima è accaduta) ci potrebbe aiutare ad eliminare il superfluo e riscoprire la nostra Natura.

Probabilmente è così.

Quanto meno è un punto di partenza.

Un saluto a Batman da una fan della Marvel.

Mary

Quando non si ha altro da fare, si pensa

Mi sveglio la mattina e guardo fuori dai vetri della mia finestra. Sono sempre un po’ sporchi, marchiati dai nasini umidi dei miei gatti curiosi, ma il cielo sta in alto e quindi lo vedo nitido comunque. E’ di una bellezza che mi incanta: l’azzurro tenue mescolato al rosa. Ricordo che verso i quindici anni mi svegliavo all’alba d’estate e me ne andavo zitta zitta sul balcone per vedere il primo raggio sorgere. Una volta mio padre mi scoprì e, per un attimo ma solo per un attimo, mi sentii come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Mi accorgo ora che son più grande che questo è un problema che mi accompagna dall’infanzia, quello di sentirmi in errore per il semplice motivo che sono così: io. Ne come mio padre, ne come mia madre. Sono certo un mix di entrambi, ma la parte preponderante è farina del mio sacco. Ma io ho sempre cercato di compiacerli, finendo col bacchettarmi per ogni mia diversità. Cosa dalla quale sto combattendo per guarire, sia chiaro. Infatti ora, mi vedo un casino con delle potenzialità e con una strada, anche se ancora ignoro quale sia. Torno a guardare all’insù, in direzione di quelle nuvole appena accennate e il desiderio di sentire l’odore dell’aria fresca mi soffoca. Spalanco la finestra e inspiro. Continuo ad inspirare, espirando rapidamente per non togliere tempo e spazio al profumo di cui voglio saziarmi. Mi accorgo però che è diverso. L’odore dell’aria mi piace quando mi veste completamente. Quando ci sto in mezzo e me la sento sui vestiti, sui capelli; quando mi sfiora le guance e sembra entrarmi dentro gli occhi. Così da lontano, l’aria ha un altro sapore e non riesco a riempirmene.

Esco in cucina per la mia prima dose di caffeina e già mia madre è pronta con il suo arsenale di parole. “Ne sono morti tot. Secondo me i casi sono molti di più rispetto a ciò che dicono. Lo avevo detto io! Lo avevo detto!”. Senza guardarla tiro un sospiro e ribatto l’unica cosa per me sensata. “Mà, posso bere il caffè prima del resoconto delle miserie?”. Lei se ne va offesa, ma ciò che non sa è che questa pandemia spaventa e preoccupa anche me. Ciò che non capisce è che il suo atteggiamento mi esaspera perché io non sono come lei. Questo, tra noi, credo sia sempre stato il fulcro. A me, di questo virus, fanno male altre cose. L’assenza del contatto fisico, ad esempio. O il pensiero di come sarà il mondo una volta che lo avremmo debellato: diventeremo finalmente più umani oppure rimarremo gli stessi crudeli uomini di sempre? Riusciremo ad entrare in empatia con le sofferenze che infliggiamo agli animali e alla Terra? C’è una possibilità, che dopo tutto questo, prenderemo una strada più giusta? Questo è ciò che continua a rimbalzarmi nella testa e fra una pausa e l’altra, ripenso a quelle birre ghiacciate in un prato montano con lui e mi sale la malinconia. Ma poi dicono che Andrà tutto bene! e così mi torna in mente un Tom Hanks naufrago che, con pazienza, si ripeteva di continuare a respirare perché non si può mai sapere ciò che porterà la marea.

Mary

Udite udite …

Questo ultimo periodo, fatto di pensieri – dubbi – riflessioni, si è rivelato parecchio X … La mente vola per i fatti propri in un sali scendi di soluzioni pescate dal caotico tram tram e risulta ormai difficile obbligarla nel concentrarsi sulla creazione di un nuovo articolo.

Ho preso quindi la decisione di allontanarmi per qualche giorno dal blog, perché preferisco creare contenuti col sorriso sulla faccia piuttosto che tirarli avanti e propinarveli all’ultimo senza troppo entusiasmo. Al momento sento l’esigenza di concentrarmi su altro.

Non ci saranno quindi, né il teaser tuesday né la foto del martedì, oggi.

Buona serata Sperduti!

!Bacio!

Stella_Marina

Buonismo insensato

Anche se ormai è tardi e dovrei dormire, mi sono messa a guardare un programma della rai in streaming. Si chiama #Mai più bullismo.

Per ora ho guardato solo 1/4 di puntata ma già è chiaro lo svolgimento: alcuni ragazzi bullizzati racconteranno le umiliazioni che sono tenuti a subire dai loro coetanei.

Questo argomento mi tocca nel profondo.

Anch’io sono stata fra quelli che avevano il terrore di andare a scuola per colpa di certi bastardi che si divertivano nel vedermi soffrire. Sono stata insultata, denigrata, emarginata e una volta è pure successo che mi hanno aspettato fuori scuola, in una viottola secondaria, con l’intento di menarmi. Per fortuna me la sono scampata senza un graffio.

Avevo solo sette anni. Ero una bambina, come lo erano i miei carnefici.

Con persone del genere, non serve a nulla il dialogo. Sono persone disagiate, che provengono da famiglie marce incapaci di insegnare un qualcosa di buono ai figli. L’unico modo per far tacere quelli stronzi è difendersi, è avere accanto un adulto che sia pronto a fermare queste crudeltà!

Basta con il buonismo del cazzo che non fa che ripetere che “i bambini sono bambini”!

Non è così! I ragazzini sono crudeli, non hanno rispetto, non sono in grado di comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato! Sanno essere meschini, malvagi, terribili.

Ora i genitori non fanno altro che ficcare i bambini davanti ad una tv o a quelle diavolerie di Ipad o Iphone già all’età di sei anni. Nessuno si prende la briga di dire un NO in più, di insegnare che la violenza è male, oppure che nella vita ci vuole rispetto e che il Mondo non è un parco giochi.

Nessun genitore si azzarda più a dare una sana sculacciata al figlio prepotente, perchè “non sia mai!!”, non si può mollare una sberla ad un bambino …

Certo! Allora continuate a non fare un cazzo, mentre i vostri figli si trasformano in criminali. Continuate a dire che “sono solo bravate” quando quei coglioni dei vostri pargoli sodomizzano un compagno di classe solo perchè, secondo loro, è gay. State pure fermi, immobili e narcotizzati, mentre la vostra progenie, a forza di insulti, porta al suicidio un coetaneo. Continuate a difenderli, mentre torturano e uccidono animali randagi per sfogare la loro rabbia repressa.

State fermi! Complimenti!

Perchè uno schiaffo non lo si può tirare ad un ragazzino … Meglio che vada in giro per le strade, trasformandosi nell’incubo di qualcun’altro!!

 

Il buonismo non risolve nulla … E’ con il realismo che si cambiano le cose!

Quindi, continuate pure a pensare che sia sbagliato EDUCARE i figli, ma se un giorno, quegli stessi figli, torneranno a casa in lacrime per essere stati picchiati da un bullo … Non azzardatevi a dire nemmeno una parola!!

Il Mondo muta in base a come noi lo creiamo. Io desidero un Mondo giusto, per questo faccio il possibile per essere una persona giusta.

Voi … Come lo desiderate il Mondo?!

!Bacio!

Stella_Marina

Pensieri e Peccati

Delle volte mi capita ti soffermarmi su questioni comuni e rimanerci concentrata fino ad averle completamente destrutturate, imbarcandomi a caccia di nuove interpretazioni, lontane da quelle a cui siamo abituati.

Poco tempo fa, chiacchierando (com’è solito) alla finestra con Hugo, la mia attenzione è stata attratta dall’idea collettiva dei sette peccati capitali e ho cominciato a pormi delle domande, cercando un riscontro nei reali vizi delle persone.

Per cominciare, è d’obbligo elencare e definire, in base al comun pensiero, i peccati biblici dai quali sarebbe meglio non lasciarsi macchiare.

Accidia: identificabile con l’inerzia, la pigrizia, la svogliatezza nel vivere. Spesso confusa con l’acidità espressa da una persona scontrosa.

Invidia: il termine è parecchio intuitivo e comprende ogni sorta di malessere provato da un individuo per le fortune altrui.

Lussuria: meglio conosciuta come piacere e godimento del sesso atto al divertimento e non limitato alla procreazione.

Ira: atteggiamento violento e rissoso attuato da una persona in una determinata situazione.

Gola: l’ingordigia, l’abuso esagerato dei piaceri culinari.

Avarizia: la nota taccagneria che spinge un singolo a non apprezzare ciò che possiede ma a ricercare ostinatamente ben più ricchi averi, obbligandolo nell’insoddisfazione.

Superbia: convinzione sfrenata di godere di uno status di superiorità rispetto agli altri, che spesso sfocia in disprezzo.

Ora che, bene o male, le definizioni come tutti le conosciamo sono state elencate, vorrei passare alla mia interpretazione basata, non su studi teologici o scientifici, ma unicamente sull’osservazione del mondo circostante.

Non di tutti i peccati posso fornire una seconda lettura però mi impegnerò ad esprimere le mie opinioni sui restanti, con umiltà e chiarezza.

Invidia e Avarizia: alcune persone inscatolano le proprie invidie, terrorizzate dall’idea di cedere al peccato mortale, ma se la gelosia fosse da attribuirsi a pensieri effimeri, del tipo: “Guarda tu che bella macchina si è preso quello!! Piacerebbe pure a me potermela permettere!” oppure “Sta stronza si fa le vacanze a Miami e io me ne resto a casa!”, dubito che meriterebbe una classificazione nei peggiori peccati. Eppure, spesso le persone schiacciano al limite del possibile queste piccole e innocue rivalità, lasciandole macerare fino alla completa trasformazione in reale e pericoloso risentimento. Personalmente penso che la lettura sia da estendere a situazioni ben più pesanti … Non è forse peccato l’andare a muovere guerra contro uno Stato o ad un popolo per impadronirsi di un qualcosa che possiedono?! Un esempio storico pienamente inerente lo si può trovare nell’ingiustificato genocidio dei nativi americani. Gli europei dei tempi, non vennero forse mossi da Invidia e Avarizia nello sterminio di quei popoli, con l’arrogante scopo di rubarne le terre?!

Lussuria: non sia mai che il sesso risulti piacevole e che venga praticato in assenza del fine ultimo della procreazione, è stato insegnato! A rigor di logica, chiunque si diverta con manette, corde, fruste o anche semplicemente con della panna montata, può rassegnarsi ad un’esistenza da peccatore! A parer mio, sono troppe le seghe mentali riguardanti questo argomento: sadomaso, feticismo, sex toys, linee erotiche non sono altro che un gioco praticato da individui consenzienti, di conseguenza non reca danno! Ciò che realmente genera un oltraggio, ed è anche l’unica cosa su cui questa categoria punta il dito (secondo me), è lo stupro! … Perchè non esiste peccato nel sesso, tranne uno: l’abuso!

Superbia: di questa il Mondo ne è sommerso! L’uomo, inteso come specie, persevera in questo vizio dagli albori della sua esistenza. L’uomo comanda, l’uomo inventa, l’uomo possiede l’intelligenza, l’uomo decide. La nostra intera storia è fondata sulla meschina Superbia di questo essere (che siamo tutti noi), convinto all’estremo di possedere un diritto ultraterreno che lo conferisce padrone indiscusso della Terra e delle sue Creature.

Gola: “Ho già mangiato due fette di torta, se mi abbuffo pecco di Gola!” … Eh già, perchè è questa la perversione! Non sarà, forse eh, la malata convinzione di potere, o meglio DOVERE, uccidere migliaia di vite ogni giorno per un petto di pollo fumante nel piatto?! Questa non è Gola?! Potrebbe non centrare nulla … Ma vedo più peccato straripare dal comune pensiero che l’animale sia cibo, che non da un’abbuffata di zuccheri raffinati!

Considerazione fuori contesto:

Esattamente come per il mito dell’Arca di Noè, la cui chiave di lettura, ci è stato insegnato fin da bambini, risiede nel giusto timore di noi uomini dinanzi alla potente collera del nostro Creatore.

Dal canto mio, credo esista una seconda chiave, in grado di spalancare quella porta cigolante sul retro della morale di questa storia: considerando la convinzione generale che ci spinge a identificarci come gli unici favoriti di Dio … Perchè, quindi, sull’Arca venne salvata una coppia per ogni specie animale mentre, tra le razze degli uomini, ad una sola fu concesso il permesso di salpare?! …

 

!Bacio!

Stella_Marina